Altra recensione su G/W.

« Older   Newer »
  Share  
,vee
view post Posted on 10/7/2009, 11:48




image
“Terra della grazia/ terra desolata”. Attorno a questi due mondi citati dal titolo ruota l’immaginario musicale e lirico del disco solista di Peter Doherty. I compagni di questo progetto solista sono la fidata sezione ritmica dei Babyshambles (Drew McConnell al basso e Adam Ficek alla batteria), Graham Coxon (in principio chitarrista dei Blur, ma negli ultimi anni solista molto interessato ai suoni dell’indie americano) e Dot Allison; a loro sono affidati strumenti acustici o semiacustici, il disco preferisce dunque toni più intimi, già sentiti sui molti bootleg per sola voce e chitarra che il buon Pete ha fatto circolare su internet in questi anni. Alcuni brani sono dunque arrangiati per una o due chitarre, ma molti altri hanno un arrangiamento semplice ma curato che –come già era successo per Shotter’s nation degli ‘Shambles – conferisce omogeneità specie ai pezzi che hanno improvvisi cambiamenti di tempo o di tono.

Il disco si apre con Arcady, la terra dei pastori dove la vita scorre semplice come una melodia; è questo un luogo presente sin dai primi tempi dei Libertines, e la canzone stessa ha già qualche anno alle spalle: l’atmosfera è gioiosa, accompagnata soprattutto da una chitarra acustica. Segue il primo singolo, Last of the english roses, brano arrangiato con suoni inusuali su un giro di accordi che, nella strofa ricorda Lullaby dei Cure. È questa una delle tante canzoni d’amore di Peter dedicate a un ragazzo (in questo disco ci sono anche Sweet by and by, New love grows on trees e Lady don’t fall backwards, dedicate in maniera più o meno velata all’ex compagno dei Libertines Carl Barat). La successiva 1939 returning offre un’evasione nel passato, anche grazie ad un arrangiamento fumoso e retrò; la musica –come già in Arcady – riesce ad accentuare l’atmosfera del pezzo e il miracolo di trascinarci in altre terre o altre epoche succede più volte all’interno del disco, alla faccia degli arrangiamenti spesso scarni! A little death around the eyes è il primo brano in cui emerge la terra desolata, viene raccontata una squallida storia di vita di coppia, musicalmente emerge un organo molto simile a quello che i Blur avevano usato una dozzina di anni fa in Death of a party (e non è certo un caso dato che su quel brano aveva suonato Coxon ed era prodotto da Stephen Street, lo stesso produttore di Grace/Wasteland). Sul finale strumentale del brano compare, come dalle fiamme, Salomè, introdotta da un basso seguito immediatamente dalla chitarra per raccontare la storia biblica filtrata dalla sensibilità di Oscar Wilde; è proprio l’inizio di questo brano forse il momento più alto del disco.

I am the rain inizia musicalmente come una sorta di Arcady un po’ più carica per poi evolvere in un cambio di tempo finale che le dà ancora più energia. Sweet by and by è un brano cantato in maniera jazzata, o forse sarebbe meglio dire ciondolante; come già era accaduto in altri brani (il reggae di I wish ad esempio), un testo tutto sommato negativo viene alleggerito facendo ricorso ad un genere musicale particolare: l’attenzione dell’ascoltatore va così all’esecuzione più che al contenuto del brano, creando uno strano contrasto ad un ascolto più attento. Il ricordo di un qualcosa svanito e l’evasione in un proprio palazzo di ossa uniscono la Terra della Grazia alla Terra Desolata in Palace of bone mentre in Sheepskin tearaway Dot Allison duetta con Peter su una base morbida, in cui gli echi della chitarra si fondono molto bene con la voce di Dot; questo è uno dei brani in cui l’autobiografia emerge maggiormente. La successiva Broken love song ha un arrangiamento più convenzionale, chitarre-basso-e-batteria ci sono e fanno la loro parte senza particolarità. New love grows on trees ha un arrangiamento che si appoggia sulla chitarra acustica, il riferimento a Barat è apertissimo nel testo: “should I killed you like you asked me to?”; le domande e il ricordo dei cari vecchi tempi sembrano riemergere anche qui, rovinato però da una realtà che non è all’altezza della memoria. Anche la finale Lady don’t fall backwards è un pezzo che ha già qualche anno, anche qui l’inizio del brano –come in Salomè –ci trasporta in un tempo magico: “Once upon a time/
When the cold wind that blows / When the cold wind that blows in my heart/ It was a summer breeze and she/ Would meet me in Chinatown for opium and tea”
. E con il sogno che la persona amata cada tra le proprie braccia, nel mondo reale e non nelle terre di evasione si chiude il disco.

 
Top
0 replies since 10/7/2009, 11:48   71 views
  Share